il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

STORIE INCREDIBILI
episodio per episodio
ENTRA
339708 commenti | 64243 titoli | 25491 Location | 12697 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: L'afide e la formica (2021)
  • Luogo del film: Il bar gestito da Concetta (De Luca)
  • Luogo reale: Piazza Mazzini, Nicastro, Lamezia Terme, Catanzaro
VEDI
  • Film: Non son degno di te (1965)
  • Multilocation: Lungotevere dei Pierleoni
  • Luogo reale: Lungotevere dei Pierleoni, Roma, Roma
VEDI
  CINEPROSPETTIVE

ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Maurizio Jiritano

    Maurizio Jiritano

  • Anna Liotti

    Anna Liotti

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Diamond
Il punto di svolta nella carriera di Fulci, che da qui in poi abbandona commedie e film per famiglie. Pietra miliare del cinema di genere italiano, tra i migliori zombie-movie in assoluto. Fulci recupera il mito haitiano e si differenzia da Romero cercando una strada esotica che funziona alla grande. Straordinario il lavoro di De Rossi agli effetti speciali, splatter in abbondanza, colonna sono azzeccata. Finale davvero di impatto.
Commento di: Gabigol
A seguito della morte di tre ragazzini in un paesino sperduto nella Basilicata, si mettono in moto le indagini per consegnare il colpevole alla giustizia. La descrizione neorealista del contesto si sposa con il thriller whodunit: Fulci restituisce una descrizione esatta del clima bigotto e forcaiolo peculiare a un contesto chiuso. Professionale il cast, ma è la Bolkan con la sua maciara a elevare il film (protagonista di una delle più importanti scene del nostro cinema di genere). Da segnalare anche un ottimo score di Riz Ortolani. Film seminale e cult.
Commento di: Luluke
Forse il film meno riuscito di Verdone, che non trova nella pur apprezzabile Pastorelli una spalla ideale, per una storia che somiglia a troppe altre, anche nella rappresentazione della sindrome religiosa che ti disadatta alla vita. Tutto si risolve poi nell'ennesima riflessione sull'amore che è eterno finché dura, che si dissolve nel matrimonio e che è difficile poi da ritrovare, se non ti aiuta il caso. La contrapposizione boomer/millennial è abbastanza fiacca. Si ride certo, come sempre, ma meno che in altre occasioni. Finale telefonato.
Commento di: Erfonsing.
Come in un ristorante stellato dove non si mangia ma si gustano le sfumature, anche di questo film non si guarda la trama ma si assapora la parte tecnica. Fotografia, musiche, regia, montaggio, ma soprattutto interpretazioni (ovviamente Fiennes, ma gli altri non sono da meno) fanno di una pellicola banale un buon film da gustare nel dettaglio. Non si tratta di critica alla mania del cibo o alla società dei ricchi, ma di come chiunque di noi non si opponga a richieste anche assurde. E qui ci siamo.
Commento di: Paulaster
Ragazzo parigino viene invitato in Galles da due sorelle. Il triangolo amoroso viene trattato in modo letterario con estrema delicatezza negli approcci (le lettere) e inevitabili punte melò quando si arriva al dunque. Truffaut utilizza le differenze culturali (soprattutto sessuali) immettendo una punta di pessimismo nell’amore che dovrebbe essere eterno. La Markham sa essere deliziosa mentre la Tendeter ha poco appeal; Léaud non sembra un tombeur de femmes anche se è bravo quando trattiene i sentimenti. Epilogo struggente.
Commento di: Pinhead80
Giunti al nono capitolo la saga di Hellraiser dimostra ancora una volta di aver "dissanguato" strada facendo tutte le sue idee. Quello che rimane sono solo rimasugli di un brand che ha terrorizzato milioni di spettatori in tutto il mondo. La sceneggiatura è terra terra e i protagonisti non hanno un briciolo di quella personalità che sarebbe necessaria per poter conferire carattere ai personaggi. Rispetto agli altri capitoli si tenta la carta dell'erotismo ma con risultati del tutto insoddisfacenti. Anche i cenobiti non riescono a trasmettere la necessaria sensazione di repulsione.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Irrimediabilmente datato a causa di un'idea poi sfruttata al cinema altre infinite volte (l'uomo che si riprende dal coma scoprendo di aver perso la memoria), l'ultimo film di Duvivier imposta la sua storia partendo appunto dall'incidente che provocherà la tragica amnesia del protagonista

Con un non troppo virtuoso alternarsi d'inquadrature che passano dalla strada percorsa a gran velocità al corridoio della clinica dove viene ricoverato Georges Campo (Delon) ci svegliamo nel lettino con quest'ultimo, del tutto spaesato e incapace di ritrovare i ricordi...Leggi tutto di sé. Al punto che quando nella stanza entra sua moglie Christiane (Berger), non la riconosce. Lei d'altronde non può sperarlo, considerate le condizioni di lui, ma c'è comunque qualcosa, nella donna, che sembra tradire una certa ambiguità, sentimento che naturalmente il film cercherà di coltivare più a lungo possibile. Anche perché Georges fatica a fare anche minimi passi avanti, nel recupero della memoria. L'unica cosa che ritorna nella sua mente sono fortissimi ricordi di guerra, come se vi avesse partecipato di persona. Non è così, gli ricorda anche l'amico di famiglia Friedrich (Fantoni), ospite fisso della grande villa di campagna dei coniugi Campo, anche se è vero che è da poco rientrato da Hong Kong (Georges dimostra in effetti di conoscere qualche parola di cinese).

L'atteggiamento del protagonista, tuttavia, è meno arrendevole di quanto ci si aspetterebbe e anzi, gioca in modo quasi sbruffone con la moglie che si rifiuta di venire a letto con lui prima che abbia recuperato almeno parzialmente la memoria. Ed è proprio nel malizioso porsi di Georges nei confronti di una situazione ancora tutta da interpretare che il film può giocarsi le carte migliori. Anche perché Delon è sicuramente in parte, ben calato in un personaggio cui serve dimostrare di non sentirsi troppo vittima degli eventi subendoli senza reagire. E quando in casa crolla un lampadario dal soffito o si apre una botola a sorpresa in soffitta sfiorando la tragedia c'è da chiedersi se siano solo coincidenze...

Chi bazzica il genere avrà in mano già tante delle prevedibili risposte, anche se poi il finale un po' s'incarta nelle spiegazioni lasciando aperto qualche interrogativo. La credibilità d'altra parte non sembra una qualità del lavoro di Duvivier, artefatto in molti frangenti, forzato in più di un risvolto e con qualche figura la cui presenza appare del tutto superflua (il domestico cinese Kim, perdipiù goffamente interpretato dal tedesco Peter Mosbacher). Resta il magnetismo dell'avvenente coppia protagonista, che comunque recita con bravura, mentre la regia di Duvuivier appare compassata e il procedere fiacco della vicenda non aiuta (c'è da aspettare l'ultima parte perché finalmente accada qualcosa di significativo, ed è in fondo già la spiegazione dell'enigma)...

Chiudi
Il primo spettacolo post-Covid di Siani non è poi così centrato sulla triste situazione derivata dalla pandemia come ci si poteva aspettare. Si sorvola sul problema preferendo porre l'attenzione su altro, ed essendo registrato al Teatro Arcimboldi di Milano una lunga parte è dedicata alle scontate differenze tra milanesi e napoletani, all'atteggiamento - visto naturalmente in chiave caricaturale - di chi vive per il progresso, per il successo, celebrando l'efficienza. Qualche bonaria presa in giro, ma Siani sa qual è il pubblico che ha di fronte e non affonda...Leggi tutto troppo il colpo, prevedibilmente. Anche perché a guardar bene i difetti sottolineati sono sempre gli stessi, col capoluogo lombardo invaso dalle pizzerie napoletane senza che in Campania, ci fa notare Siani, nessuno abbia mai pensato di aprire un ristorante milanese.

L'approccio del nostro è quello di sempre: semplice, ingenuo, verace... Non si sottrae a doppi sensi e giochi di parole puerili pur conoscendo i limiti degli stessi, si interrompe spesso per ridere tra sé e sé anche quando francamente ben poco ci sarebbe da ridere. In effetti la sensazione, una volta di più, è che il Siani intrattenitore, cabarettista vulcanico d'innata simpatia, sia nettamente superiore ai testi che porta in scena, la cui ricercatezza è assai relativa. Certo, si può far ridere anche solo sfruttando la propria verve, ma bisogna essere davvero molto bravi per riuscirci...

Battendo sui soliti tasti (le differenze tra l'uomo e la donna, l'inconsistenza della classe politica attuale...) si colpisce il bersaglio grosso, si ottiene di stimolare nel pubblico il facile gioco di complicità alla base del successo di tanti cabarettisti, ma poi bisognerebbe in qualche modo sapersi distinguere, e in questo Siani poco funziona: non aggiunge molto a quella che è la propria carica vitale, che in parte è quella del napoletano che fa buon uso del proprio dialetto senza renderlo incomprensibile ai più. Ha anche per questo una sua indubbia efficacia, quando ciò che si racconta offre qualche spunto di divertimento. Il fatto è che qui gli spunti buoni mancano, e si arranca inseguendo macroargomenti banali e affrontati similmente infinite volte.

Scarsa l'interazione col pubblico (e questo non è un male, per chi segue da fuori), numerosi gli inciampi che generano pause spesso riempiti da applausi che scattano automatici "in soccorso". Si ride molto moderatamente e vien da chiedersi che effetti otterrebbe Siani potendo attingere da testi meno qalunquisti e più articolati. Perché anche il saluto finale, con i metaforici regali che il nostro farebbe ad ogni singolo politico del suo tempo (Letta, Di Maio, Meloni, Renzi, Salvini e Berlusconi, che sarebbe morto di lì a poco) non rappresenta certo una chiusura entusiasmante...

Chiudi
Paolo (Gelijeses) e Carlo (Barbareschi) sono due coinquilini molto diversi. Amici, certo, ma dagli interessi diametralmente opposti, per quanto anche il carattere più superficiale e spontaneo di Carlo sia comunque ispessito da un amore per la musica "colta" che lo porta a frequentare lezioni di violino con l'orchestra. Anzi, tra i due quello più stereotipato è Paolo: gestisce con Sandro (Cavallo) una libreria (la “Galleria dei Librari" dice l'insegna), ama i grandi scrittori e si giudica molto più maturo di Carlo, che cerca sempre di coinvolgerlo...Leggi tutto in uscite a quattro con altre ragazze semplici (che i due definiscono "manzotte").

Sullo sfondo di una Roma che non si fa troppo notare, il film cerca di inquadrare i due protagonisti concentrandosi di più su Carlo, come detto il carattere meno scontato a cui il giovane Luca Barbareschi rende un buon servizio uscendo dai canoni della recitazione tradizionale, più appannaggio di un Gelijeses che comunque non demerita.

Carlo ama vivere di notte, mentre di giorno suona in un gruppo rock nel quale si occupa non solo del violino ma anche delle tastiere. La cantante, con movenze punk da Jo Squillo, è Frizza (Melato, anche coautrice dei pezzi e voce reale dei brani), tuttavia ai margini di ogni dinamica sentimentale. Chi invece vi rientra a pieno titolo è Lili (Prati), che Paolo conosce in libreria e con la quale condivide da subito un certo tipo di interessi culturali: lei recita in un teatro underground (in compagnia c'è anche Carlo Monni) e trova affinità con la riservatezza e l'amore per l'arte di Paolo. Poi però, dopo aver inevitabilmente conosciuto anche Carlo, finisce col non trovarsi indifferente alle avance di quello e a cedergli, in gran segreto. Fino a quando...

L'amore a tre occupa tuttavia solo la seconda parte di un film che avrebbe invece l'ambizione invece di esserne indipendente, di potersi permettere di proseguire anche solo raccontando le diverse vite e i bonari screzi tra amici, intervallando le scene con qualche pezzo rock (c'è persino l'intera ricostruzione di un videoclip, per un un brano del gruppo) e sfruttando una sceneggiatura con qualche scambio simpatico, con un Barbareschi capace di sdrammatizzare quando c'è da sciogliere la tensione ma anche di mostrarsi più profondo quando le tematiche si fanno meno frivole.

A Victor Cavallo il personaggio secondario più incline alla battuta, mentre poco viene dalle scene in teatro o dall'incontro col nonno di Paolo. Finale meno riuscito di quanto vorrebbe, chiuso anzi quando meno ce lo si aspetta ma senza che questo significhi lasciar spazio a ulteriori riflessioni. Non una regia particolarmente incisiva, ma la recitazione e alcune situazioni permettono di non annoiarsi troppo... Apprezzabile il tentativo di raccontare la quotidianità di trentenni non troppo occupati mantenendo una certa leggerezza di fondo e affrontando il tutto con mirato disimpegno.

Chiudi

Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

SFOGLIA PER GENERE